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Messaggio Da Mairu Gio Feb 08, 2018 11:02 pm

giobbe ha scritto:I papà di 65 anni che hanno fatto solo la scuola elementare scrivono e capiscono quello che leggono molto di più di quelli che ogg frequentano  la scuola secondaria di secondo grado.

Uhm, non voglio assolutamente offendere mio padre né gli altri uomini della stessa età del mio paesello, che hanno saputo costruirsi una ricchezza con enormi sacrifici che io e quelli della mia età ci sogniamo, ma in base alla mia esperienza posso dirti che non è proprio così. Reputo mio padre una persona abbastanza intelligente, tuttavia la sua ignoranza, in termini di conoscenze di base, è davvero evidente, ignoranza che non è paragonabile a quella che avevano i miei compagni delle superiori, anche i più somari.
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Messaggio Da sempreconfusa1 Gio Feb 08, 2018 11:22 pm

L'esempio della scuola guida può valere fino a un certo punto: lì la motivazione non è tanto "saperne e saperne bene di motori e di guida per ottenere un diploma spendibile chissà come e chissà quando nel mondo del lavoro. In quel caso c'è una motivazione implicita che non ha paragoni: divento adulto, indipendente, finalmente avrò un mio "status" riconoscibile nella società, porto in giro amici, ragazza o ragazzo...e così via. Ci credo che scalpitano per ottenerlo.
Un tempo c'era la stessa motivazione anche nella scuola, perché avere un titolo di studio, seppure di livello basico, significava valere qualcosa in più nella società. Non tutti se lo potevano permettere.
Oggi esistono le scuole di recupero, lo sconto due per tre per rimediare; se sei costretto o prendere un diplomino un modo lo trovi sempre, qualche ripetizione vedi che si trova il modo di farla... non è più una questione di prestigio o di importanza a livello sociale; si tratta di banalissimo pragmatismo (anzi opportunismo) e anche malcelato.
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Messaggio Da Mairu Ven Feb 09, 2018 12:10 am

herman il lattoniere ha scritto:
Per Mairu: indipendentemente da quale sia l'entità degli apprendimenti "disciplinari" richiesti a SFP, non puoi negare che quello che viene percepito all'esterno, a tutti i livelli, è che nelle facoltà di scienze della formazione primaria l'accento è posto non sulle discipline, non sugli apprendimenti delle discipline, non sulla capacità di insegnare le discipline (tutte cose in un certo senso "non di indirizzo"), ma su problematiche psicologiche, pedagogiche, di inclusione, motivazionali. Questa non è una mia percezione, ma una teorizzazione ben precisa affermata chiaramente da molti dei sedicenti esperti di scuola. La mia idea personale è che le vecchie maestre, benché mediamente molto meno preparate delle attuali in storia, matematica, geografia, italiano ecc., avessero molto più rispetto delle discipline, del loro insegnamento e dell'importanza del loro apprendimento di quanto non ne abbiano le laureate SFP; frasi del tipo "non capisce niente ma non posso mettergli meno di sette" sono frequenti nei discorsi che sento tra le colleghe del ciclo precedente.

Sul cambio di prospettiva sono d'accordo, ma quello non dipende dal corso di laurea, bensì da tutti i corsi che oggi sono incentrati sulla didattica e sulla pedagogia. Lo stesso professore che ha fatto didattica generale a me, l'ha fatta a chi frequentava i tfa e i pas, quasi con lo stesso identico programma. E questo vale per pedagogia, per psicologia dell'educazione, ecc. Sono le singole materie "pedagogiche" ad aver fatto mutare la prospettiva sul modo di insegnare la disciplina e sull'importanza del loro apprendimento. La frase "non capisce niente ma non posso mettergli meno di sette" non la senti solo alla primaria. Anche alla secondaria tanti sposano questa linea: troppe frasi simili ho sentito da colleghi della secondaria ai collegi docenti o alle riunioni delle commissioni.

Io sto all'infanzia, quindi in realtà non "insegno" niente, parlando in termini di singole discipline. Tuttavia non sposo la logica del dare sette a chi non sa niente. Per me la conoscenza ha un grande valore e come tale non può essere sacrificata in nome dell'inclusione e della scarsa motivazione che tanti bambini hanno nei confronti della scuola. Alla primaria non vedo tutta questa gran differenza fra le "vecchie" insegnanti col diploma e le "nuove" con la laurea: oggi tante tendono ugualmente ad abbonare carenze disciplinari importanti, perché "adesso si fa così".

Fra l'altro, non so in che zona insegni tu, ma la percentuale di docenti alla primaria e all'infanzia laureate in SFP è generalmente ancora così bassa che non è certo imputabile a loro un cambiamento di rotta nell'approccio alla disciplina. Ho iniziato a lavorare a scuola solo da 4 anni, ma posso dirti che in ogni plesso di scuola primaria degli istituti in cui sono stata non ho mai conosciuto più di due o tre insegnanti laureate in SFP.
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Messaggio Da Mairu Ven Feb 09, 2018 12:29 am

paniscus_2.1 ha scritto:
giobbe ha scritto:I papà di 65 anni che hanno fatto solo la scuola elementare scrivono e capiscono quello che leggono molto di più di quelli che ogg frequentano  la scuola secondaria di secondo grado.

Faccio presente che i sessantacinquenni di oggi sono stati bambini in una realtà in cui la scuola media non era ancora obbligatoria, e quindi era ancora abbastanza normale che la facessero solo quelli più motivati (e che, anche tra quelli che si iscrivevano, non tutti riuscissero a completarla), senza che si strillasse allo scandalo per il problema della dispersione scolastica.

Non dico che sia un modello positivo da riproporre come esempio per i tempi nostri, lungi da me, ma deve essere chiaro che "avere solo la quinta elementare" per la categoria dei sessantacinquenni vuol dire una cosa molto diversa che per i cinquantenni o i quarantenni di oggi.

Per rispondere a Mairu: anch'io, in un periodo limitato della mia vita, ma comunque proprio in corrispondenza dell'adolescenza, ho vissuto in un paesello di provincia, dalla scolarizzazione media piuttosto bassa. Non proprio un paesello tradizionale rurale come quello dei miei nonni, semmai una piccola colonia periferica di una grande città, in cui l'occupazione nelle fabbrichette, che spuntavano come funghi, e nei servizi artigianali e commerciali, aveva soppiantato quasi completamente quella agricola, che pure esisteva ancora. Sto parlando degli anni ottanta, non degli anni cinquanta o sessanta.

Bene, ricordo nitidamente che in quel periodo conoscevo moltissimi ragazzi che avevano scelto tranquillamente di smettere di andare a scuola dopo la terza media, e di mettersi subito a lavorare. Parlo di miei coetanei, ossia nati all'inizio degli anni settanta o alla fine dei sessanta, gente che adesso ha tra i 45 e i 50 anni.

E sia chiaro che non parlo nemmeno di pluribocciati, di reietti che venivano espulsi da un sistema scolastico troppo selettivo, né di casi disperati che non riuscivano nemmeno a finire le medie, né di quelli che dopo aver finito le medie provavano a iscrversi alle superiori ma bocciavano al primo anno e si scoraggiavano per il trauma: parlo di ragazzi che finivano regolarmente le medie, magari con un voto modesto ma con un percorso regolare, senza essere mai stati bocciati, e che semplicemente sceglievano in partenza di non iscriversi affatto alle superiori, perché preferivano cominciare subito a lavorare (e non necessariamente in lavori infami al nero, eh: all'epoca era possibile essere assunti in regola come operai, come apprendisti o come commessi anche a 14 o 15 anni).

Alcuni di questi avevano un'attività di famiglia, un negozio, un laboratorio artigiano, un banco di mercato ambulante, e andavano a lavorare con i genitori; altri si impiegavano in fabbrica o andavano a fare gli apprendisti in botteghe artigiane altrui, come idraulici, meccanici, carrozzieri, pellettieri, parrucchiere, estetiste.

E tengo a fare presente un dettaglio molto importante, in cui la mia esperienza non coincide con quella di Mairu: nella maggior parte dei casi, NON lo facevano per miseria economica.

Non venivano da famiglie che oggi diremmo "povere".

Magari molto semplici sul piano culturale, questo sì, con genitori e nonni che a loro volta non avevano studiato e che non attribuivano importanza allo studio, ma non tanto economicamente disperate da aver bisogno assoluto di mandare a lavorare il figlio quattordicenne, altrimenti l'intera famiglia non poteva tirare avanti.

Come ho detto sopra, si trattava in maggioranza di figli di artigiani, piccoli commercianti, piccoli possidenti di terreni, abitavano in case notevoli con giardini e orti (magari autocostruite con sacrifici sfiancanti, ma comunque notevoli), avevano accesso a tutte le comodità consumistiche esistenti all'epoca. Insomma famiglie abituate al risparmio, ma non alla miseria e nemmeno alla taccagneria greve, che avrebbero potuto tranquillamente mantenere i figli alle superiori o anche all'università, se ci avessero tenuto, ma che appunto non ci tenevano. Semplicemente, pensavano che studiare a lungo fosse una perdita di tempo, e che convenisse di più mettersi a lavorare subito, per contribuire al benessere della famiglia, o per cominciare a mettersi da parte i soldi per farsi a propria volta la villetta accanto a quella dei genitori.

Io parlo degli anni ottanta, ma questa tipologia di italiani, che è diversa dal contadino tradizionale, è esistita (e ha anche costituito una percentuale notevole della popolazione) fino a pochi anni fa...

Da me, questa tipologia di cui parli tu si è presentata molto più tardi, interessando quelli che sono nati nei primi anni 80. Mia sorella maggiore ha 33 anni e molti suoi compagni delle medie non hanno poi continuato le superiori, iniziando a lavorare non perché non avessero le possibilità economiche per studiare, ma perché proprio non erano interessati a proseguire e perché non amavano gli studi.
Io ho 7 anni in meno, ma in soli 7 anni le cose sono cambiate radicalmente: tutti i miei compagni delle medie hanno terminato le scuole superiori e una buona parte ha anche iniziato l'università, anche i più svogliati.

E comunque, mio zio, il fratello di mia madre, è nato nel 1968 e deve ancora compiere 50 anni, tuttavia non ha il diploma di terza media. Non è mai stato bocciato, ma per lui la scuola era un grandissimo peso e non ha neanche finito di frequentare il secondo anno delle medie. Non è un caso isolato, nella mia zona altri della sua età hanno mollato prima di prendere il diploma di scuola media e hanno iniziato a lavorare a 12-13 anni.
Non voglio certo dire che sia una situazione comune in tutte le zone rurali d'Italia, ma non posso nemmeno dire che quello che scrive wasted years sia così inverosimile.
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Messaggio Da paniscus_2.1 Ven Feb 09, 2018 9:01 am

per Mairu: in ogni caso, mi sembra che anche la tua testimonianza non contraddica affatto la mia, e che sostanzialmente diciamo la stessa cosa. Ossa che è vero che, qualche decennio fa, specialmente nei paesini di provincia, esisteva parecchia gente che non si diplomava o che non finiva nemmeno la scuola dell'obbligo... ma che questi abbandoni della scuola avvenivano spontaneamente, per scelta, dovuti soprattutto a due fattori: la mentalità della famiglia (che non attribuiva importanza allo studio, e quindi non insisteva perché i figli continuassero) e l'esistenza di alternative concrete che in quel momento apparivano più convenienti (cioè, questi ragazzi smettevano di andare a scuola per mettersi a lavorare, guadagnare, e iniziare a tutti gli effetti la vita adulta, cosa che oggi a 14 anni sarebbe poco realistica).

Quello che invece sosteneva il nostro interlocutore è che questi ragazzi abbandonassero perché respinti e umiliati da una scuola eccezionalmente elitaria e selettiva, che li bocciava senza pietà e che faceva di tutto per escluderli. E io penso realmente che questo non fosse vero. Potevano anche esserci queli che smettevano dopo essere stati bocciati una volta, o magari anche più di una (e del resto ci sono ancora, anche se i numeri sono diversi), ma non vuol dire che in realtà ci tenessero moltissimo a proseguire ma la scuola troppo severa glielo impediva. Semplicemente, l'abbandono degli studi era considerato una scelta come un'altra, socialmente accettabile, in molti casi approvata o comunque accettata dalle famiglie, e non la tragedia cosmica che si ritiene adesso.


Ultima modifica di paniscus_2.1 il Ven Feb 09, 2018 10:02 am - modificato 1 volta.

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Messaggio Da paniscus_2.1 Ven Feb 09, 2018 9:24 am

Continuo la riflessione di prima:

Tutto sommato, qualcosa del genere succede anche adesso, anche se i numeri sono diversi e l'età di cui si sta parlando si è innalzata (cioè, riguarda le superiori e non le medie): quelli che non riescono a concludere le superiori e che finiscono nel conteggio della cosiddetta dispersione scolastica sono, in gran parte, ragazzi che hanno consapevolmente mollato il colpo per scelta propria, smettendo di venire a scuola, oppure venendoci solo formalmente, ma estraniandosi completamente da qualsiasi coinvolgimento didattico.

Chiunque abbia la costanza di continuare a frequentare regolarmente, e di mantenere una parvenza di dialogo educativo con i docenti, prima o poi il diploma lo prende, anche se non sa nulla. Sempre per Mairu: l'hai detto tu stessa che, già una decina d'anni fa, i tuoi compagni delle superiori l'hanno preso tutti, anche i più somari e i più lavativi. Nel caso peggiore l'avranno preso con un anno di ritardo, oppure l'avranno preso dopo aver cambiato scuola, ma l'hanno preso.

Ed è quello che confermo io: oggi, a chi non sa nulla, basta mettere in scena qualche apparente barlume di risveglio dell'interesse, far vedere che sei andato al corso di recupero (anche se i risultati non ci sono stati, basta esserci andati), tampinare l'insegnante per chiedergli l'ennesima possibilità di essere interrogato per rimediare (anche se non si rimedia, l'importante è dimostrare la buona volontà di provarci), magari dimostrare di essere passato dal 3 al 4, avere genitori che tengono molto a ribadire che considerano indispensabile il diploma, e in qualche modo la si sfanga.

Quante volte hai letto, qui sopra, sfoghi di alcuni di noi che lamentano che, anche in un liceo, a forza di aiutini, voti di consiglio, didattiche inclusive, abbassamenti sistematici delle richieste per tutti, sia diventato normale promuovere anche ragazzi che avevano sei o sette materie insufficienti? Non penso proprio che in un professionale (dove bocciature e abbandoni sono di più) si utilizzino criteri più severi che in un liceo, no?

E' possibile che uno stato di cose come questo sia giudicato come troppo selettivo, e colpevole di un'altissima dispersione scolastica?

La verità è che il nostro sistema attuale boccia solo quelli che consapevolmente si bocciano da soli. Ossia, quelli che non apportano il minimo contributo personale al proprio percorso didattico e che rimangono completamente passivi e impermeabili a qualsiasi azione della scuola, indipendentemente da quali siano i metodi didattici utilizzati e quali siano i criteri di valutazione adottati. Un fenomeno del genere esiste, e non può essere imputato con tanta disinvoltura a colpe o a inefficienze della scuola, come se il contributo di alunni e famiglie non contasse nulla.

Sono troppi? Sono pochi? Sono una normale quota fisiologica che è prevedibile in qualsiasi società? Non lo so.

Ma la tendenza a bocciarsi da soli o meno, oggi come 30 anni fa, dipende sostanzialmente da quanto ci tenga la famiglia, non dalla selettività della scuola. Oggi le famiglie che considerano accettabile l'abbandono degli studi sono molte di meno di allora, quindi gli abbandoni sono molti di meno di allora, ma il meccanismo resta quello. E' illusorio e ipocrita sostenere che il problema scomparirebbe se solo fossimo (ancora) meno esigenti e bocciassimo (ancora) meno!

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Messaggio Da Mairu Ven Feb 09, 2018 12:16 pm

Paniscus, io infatti sono d'accordo con te, secondo me le dinamiche di dispersione scolastica sono quelle che hai delineato nei tuoi interventi; il mio appunto era solo per far capire che quanto ha detto wasted years sulla percentuale di dispersione scolastica dei suoi tempi può apparire molto inverosimile in alcune realtà d'Italia ma può essere verosimile in altre.

Quello che voglio aggiungere è che secondo me, se anche la dispersione fosse dovuta ad una scuola troppo selettiva ma se la selezione fosse indice della qualità della formazione, non ci sarebbe nulla di male. Innalzare il numero di anni di frequenza scolastica è sensato solo se a questo corrisponde un reale innalzamento della formazione di chi frequenta.
Che senso ha andare a scuola per 13 anni se per poter andare avanti per tutti e 13 gli anni si abbassa il livello richiesto e uno studente si ritrova ad avere dunque le stesse conoscenze e competenze che avrebbe posseduto se si fosse fermato dopo 10 anni di frequenza, ma con un livello richiesto più alto?
Forse mi sono espressa in maniera un po' contorta, ma quello che voglio sottolineare è che la lotta alla dispersione scolastica diventa importante solo se questa garantisce un innalzamento del livello di preparazione media dello studente e non se si limita solo ad allungare gli anni di frequenza a scuola.
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