Sto lavorando male?

Promemoria primo messaggio :

Buonasera a tutti/e, cari colleghi! Ho iniziato da circa due mesi la mia prima esperienza di insegnamento in una scuola pubblica, ma non sto insegnando la mia materia (italiano), bensì sostegno. Non nego che le difficoltà e le insicurezze sono tante. Mi sono state assegnate due ragazzine che, per fortuna, non hanno particolari problemi e riescono a seguire abbastanza bene. Quindi sto praticamente seguendo il programma della classe, semplificando laddove necessario. Il problema è che non so se sto agendo bene, il rapporto con i colleghi è buono ma a volte non mi sembra limpido (o forse è la mia insicurezza cronica a farmi pensare che loro possano lamentarsi di me). In alcune ore esco dalla classe, quasi sempre su direttive dei colleghi, e spiego alternativamente gli argomenti all'alunna assegnatami e ad altri della classe che hanno difficoltà. Altre volte sto in classe e aiuto nello svolgimento degli esercizi, nel copiare dalla lavagna o semplicemente nello scrivere i compiti sul diario. Spesso fornisco ai ragazzi riassunti, schemi e mappe degli argomenti spiegati. Altre volte, infine, aspetto che l'insegnante finisca di spiegare e rispiego. Ora mi chiedo: ma è corretto questo modo di agire? È sufficiente? Lo chiedo perché ho sempre paura di fare poco o male, paura di non essere all'altezza. Cosa deve fare un insegnante di sostegno per potersi dire veramente valido?

carla75 ha scritto:Lavorare per l'inclusione significa coinvolgere il collega curriculare. Basta saper comunicare...

non ho dubbi, carla75.
Purtroppo nella mia esperienza non è stato infrequente che mi si chiedesse di portare fuori dalla classe alunni che invece potevano stare bene, e proficuamente, insieme ai compagni almeno per la maggior parte del tempo; oppure che i colleghi curricolari, nelle ore in cui il docente di sostegno era assente, "dimenticassero" l'alunno con handicap, o che mi dicessero "vabbè a lui ci pensi tu", e non volessero sapere che cosa facessimo. Ho dovuto insistere molto, non mi sono mai arresa di fronte all'indifferenza e ho fatto quello che ritenevo, di volta in volta, più utile.
Mi è capitato anche, più di una volta, di essere trattata da (cito) "assistente di Tizio", da persone che poi si stupivano quando scoprivano che avevo gli stessi loro titoli (abilitazione), e anzi di più (specializzazione). Allora, forse, anche da questo emerge l'insistenza sulla contitolarità.

Nella mia esperienza, quando si riesce a lavorare davvero sulla classe, o almeno con gruppi di studenti, il lavoro funziona meglio. Poi dipende dalle esigenze dei singoli studenti: un ragazzo con autismo può trarre maggior beneficio da un contesto più silenzioso e strutturato, e aver bisogno di uscire spesso; un ragazzo con disabilità intellettiva può, almeno per parte del tempo, apprendere in contesti e con attività calibrate su di lui e magari diverse dal resto della classe (penso ad esempio ad un inserimento in un liceo, dove ci sono ore in cui si legge molto, o si fanno materie ad alto livello di astrazione); uno studente con obiettivi minimi invece può - magari - preferire un tipo di lavoro in modalità che mettano meno in luce le sue differenze rispetto al resto della classe. Penso a quanto descriveva l'utente che ha dato avvio a questo topic.

Credo anche che non sia semplice capire come lavorare, sul sostegno, perché molto dipende dall'alunno, dalla classe, dai docenti curricolari, dal tipo di scuola, dalla famiglia... Non che lavorare come docente curricolare sia semplice, ma forse abbiamo una serie di "standard" più definiti a cui attenersi (alla peggio, entro in classe e spiego come ho visto fare a suo tempo ai miei professori); invece sul sostegno tutto cambia talmente, che in un medesimo anno scolastico e addirittura in una stessa classe, a seconda di dinamiche e bisogni, puoi trovarti a lavorare in modi molto diversi.