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Messaggio Da macro Mar Gen 07, 2020 2:16 pm

[quote="franco71"][quote="macro"]
Ok, tra molti di voi si annidano coloro che per insegnare a nuotare buttano il bambino in acqua e, per la legge "o bere o affogare", vedrete che imparerà a nuotare...
E' un modo di fare credibilissimo, ma sicuramente molto più apprezzato da coloro che non hanno nulla contro il fare selezione. Se è importante fare selezione, e può esserlo, si fa così.
...[/quote]
Io credo che sia fondamentale lasciare l'alunno (sia di primaria che di secondaria) a "provarci da solo", di fronte ad un esercizio o ad un  argomento nuovo, dopo che il docente ha illustrato un esempio o un metodo. Se però il docente nota che l'alunno Pierino non riesce a sollevarsi coi lacci delle sue scarpe (bootstrap per gli inglesi) ha il dovere di intervenire, suggerire o correggere metodi di studio.
Sennò siamo davvero alla scuola di classe di una volta, al darwinismo scolastico.
Naturalmente ponendo anche un limite all'aiuto altrimenti si giustifica ogni insuccesso dell'alunno e si ricade nell'errore opposto. [/quote]

Detta così non posso che essere d'accordo!
Il problema sta nella misura degli interventi perchè c'è chi lascia che l'alunno s'arrangi a livello 1 e chi a livello 10. C'è chi coglie la difficoltà se è 3 e chi la coglie solo se è 9. C'è chi limita l'aiuto a 2 e chi lo limita dal 7 in su.
Queste differenze nel valutare , perchè valutazioni sono, possono portare a errori macroscopici sul lungo periodo o sulla massa di persone che interagiscono e amplificano l'errore via via.
L'errore di rotta di un grado è misero nel giro di un km, ma sui mille chilometri può dare dei seri problemi e non poteva bastare all'inizio della missione essere d'accordo che si sarebbe andati verso un generico "di là..!"
Quindi bisogna aumentare l'analisi di quegli aspetti. A parole siamo spesso molto d'accordo, ma non si capisce perchè poi i risultati sia fortemente distanti. Ci vuole più confronto sui significati e le metodologie.
Quello del confronto però non è un must della professione docente che cresce e si sviluppa di solito nel più pieno individualismo (cura e sostegno della propria disciplina).
Quello della scuola deve essere un progetto più partecipato , non un insieme di tante unicità (tale per cui gli alunni poi imparano a giocare astutamente su più tavoli...)

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Messaggio Da herman il lattoniere Mar Gen 07, 2020 2:38 pm

macro, quindi dovremmo dare tutti lo stesso aiuto, il massimo?

franco71, proprio perché c'è meno trippa per gatti di 10-20 anni fa che bisogna studiare più di prima, non meno...

herman il lattoniere

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Messaggio Da macro Mar Gen 07, 2020 2:42 pm

[quote="paniscus_2.1"]"Non si può dire poi che questa pedagogia abbia prodotto una società forte come magari quella spartana.
La scuola boccheggia e la società sprofonda. "

Veramente a me pare che la scuola boccheggi soprattutto da quando è stata dominata dalla pedagogia ludica, coccolosa, sentimentale e (fintamente) inclusiva, e non certo il contrario.

Se c'è ancora qualcuno che ha il coraggio di lamentare che la scuola attuale sia troppo richiedente, troppo autoritaria e troppo selettiva, mi pare che veramente non ci sia nessun margine per riuscire a discutere.[/quote]

La scuola del passato solo apparentemente non boccheggiava. Essendo la società molto più uniforme, tutto sembrava più verosimile. Ora che le distanze tra le varie agenzie sociali si sono ampliate saltano fuori le magagne. Un tempo c'era totale solidarietà tra parroco, carabiniere, insegnante e genitore. Ognuno si faceva bello grazie a questa coesione.
Oggi è saltato tutto in aria e si vedono i veri valori di cui ognuno è portatore.
LA scuola non ha più un' identità (l'avesse mai avuta!). Non è diventata più coccolosa perchè queste sono le direttive di questi ultimi anni. Lo è diventata perchè ha assorbito ciò che è diventata la società intorno. La scuola che si rifiuta di fare la coccolosa rimane sostanzialmente distaccata, autoritaria e selettiva, ma non perchè questo sia un valore: solo per inerzia o spirito di contraddizione. Non farsi assorbire dalla società intorno, non significa richiamarsi ai valori del passato (che per me non erano dei valori , ma solo un accidente...).
Significa capire finalmente quale è il senso della scuola in un società civile; quale deve essere il suo livello di confronto con la società civile (dalla quale è difficile , tra l'altro , distinguersi).
Credo che la scuola sia sempre stata schiava della cultura che la esprimeva (era proprio una sua espressione).
Ma questa non è un'opzione credibile per il mio concetto di scuola (come di scienza). La scuola deve essere elemento critico della società, non un posto che offre posti di lavoro agli insegnanti o che fa il verso ad una qualsiasi cosa ad essa esterna.

macro

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Messaggio Da paniscus_2.1 Mar Gen 07, 2020 5:35 pm

[quote="macro"]Queste differenze nel valutare , perchè valutazioni sono, possono portare a errori macroscopici sul lungo periodo o sulla massa di persone che interagiscono e amplificano l'errore via via.
L'errore di rotta di un grado è misero nel giro di un km, ma sui mille chilometri può dare dei seri problemi e non poteva bastare all'inizio della missione essere d'accordo che si sarebbe andati verso un generico "di là..!"[/quote]

Per esempio, che ne dici di quei casi (sempre più diffusi) di diagnosi di DSA sempre più precoci, per cui non appena un bambino di 6 o 7 anni, che è NORMALE che non abbia ancora sviluppato le capacità di lettura, scrittura e memoria mature, ma può ancora migliorarsi con l'esercizio e con interventi mirati... invece viene immediatamente bollato con una certificazione di "caratteristica neurologica innata" considerata irreversibile per tutta la vita, e quindi destinato per tutto il suo percorso scolastico successivo a ricevere facilitazioni, riduzioni, esoneri, invece di chiedergli lo sforzo di provare a correggersi.

Per cui, non gli si darà mai più alcuna possibilità di capire se ha DAVVERO un disturbo strutturale o no, o se magari le sue difficoltà sono state causate da una banalissima fluttuazione transitoria, che sarebbe stata risolta se non gli avessero piantato addosso quella diagnosi "irreversibile" troppo prematura.

Io posso fare un esempio che conosco personalmente, in un contesto di amicizia personale abbastanza vicino. Una ragazza che, fino alla fine della seconda elementare, faceva una fatica evidente a leggere, in pratica non aveva colto il meccanismo del colpo d'occhio immediato delle parole, e quindi continuava a sillabare, tip S-O... so...L-E.... le... SO_LE, e roba del genere. Poi, improvvisamente, riuscì a coglierlo tutto insieme, e non ebbe mai più nessun problema di lettura, nemmeno in termini di lentezza: semplicemente, ha imparato un po' più tardi della media, ma una volta imparato ha dimostrato capacità esattamente uguali a quelle degli altri, tanto è vero che ha fatto le medie senza il minimo problema, e adesso sta frequentando il liceo classico con buoni risultati (compresa la lettura e scrittura in caratteri greci), e nessuno si è sognato di sollevare qualche problema. Non ha mai avuto bisogno di interventi personalizzati, né di sconti sulle richieste scolastiche. Quindi il suo problema, all'inzio delle primarie, non era affatto un DSA, ma una normale manifestazione della variabilità naturale della specie umana, sempre nell'ambito della norma, e comunque transitoria, e non permanente.

Se questa ragazza fosse incappata, 10 anni fa, in qualche zelante maestra indottrinata dalla nuova pedagogia dell'"inclusione medicalizzata" estrema, o se avesse avuto genitori indttrinati di ansie postmoderne, una bella diagnosi di DSA a 8 anni non gliela toglieva nessuno.

Dopo di che, NONOSTANTE i progressi evidentemente realizzati in seguito, e l'evidente scomparsa spontanea del problema (siccome non si può dire che un DSA è "guarito", però non si può nemmeno dire che la diagnosi precedente avrebbe potuto essere sbagliata, perché un DSA è come un diamante, è per sempre) sarebbe andata avanti per tutte le elementari e per tutte le medie a forza di PDP inutili, di mappine concettuali inutili, di facilitazioni inutili delle verifiche, e di valutazioni fasulle non solo inutili ma anche dannose, e avrebbe imparato molto di meno di quello che ha imparato adesso...

Lei se l'è scampata, ma ce ne sono a migliaia, di situazioni così.

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Messaggio Da @melia Mar Gen 07, 2020 5:39 pm

[quote="franco71"]...quelli che per @melia sono spaccatori di legna... [/quote]Non so se si è capito, ma io avevo grande ammirazione per questi ragazzi che forse non erano bravi a scuola, ma sapevano fare cose che neanche i miei genitori sapevano fare.
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Messaggio Da paniscus_2.1 Mar Gen 07, 2020 5:43 pm

[quote="macro"]Credo che la scuola sia sempre stata schiava della cultura che la esprimeva (era proprio una sua espressione).
Ma questa non è un'opzione credibile per il mio concetto di scuola (come di scienza). La scuola deve essere elemento critico della società, non un posto che offre posti di lavoro agli insegnanti o che fa il verso ad una qualsiasi cosa ad essa esterna.[/quote]

Adesso che c'entra la solita solfa dei "posti di lavoro per gli insegnanti"?

Stai insinuando che chi non è d'accordo con la deriva che ha preso la scuola attuale, e che critica le tendenze attuali perché pensa sinceramente che NON funzionino e che non siano efficaci per trasmettere competenze e cultura, lo faccia solo per difendere rognosamente interessi clientelari o egoistici?

Ma ti rendi conto dell'enormità grottesca di questa mistificazione?

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Messaggio Da paniscus_2.1 Mar Gen 07, 2020 9:39 pm

"Concordiamo tutti che la società e l'utenza sia cambiata radicalmente, perché mai allora vecchi metodi e vecchi obiettivi dovrebbero assicurare la buona riuscita? "

per Lucetta:

visto che questa argomentazione ha indubbiamente qualcosa di vero e di valido, però nel frattempo è anche largamente usata come una sorta di mantra rituale, o di principio dogmatico, che significa tutto e il contrario di tutto, e che spesso si ferma lì, all'affermazione generica...

...si potrebbe per favore esplicitare in maniera più dettagliata quali sarebbero i meccanismi specifici che, a partire da un cambiamento sociologico dell'utenza, dovrebbero per forza implicare un suo PEGGIORAMENTO nelle capacità di base?

E sia chiaro che non parlo delle capacità di "adeguamento ai vecchi metodi" o di "riconoscersi nei valori trasmessi dalla scuola di una volta", parlo proprio delle capacità di base e dei processi di apprendimento di base, che sarebbero richiesti allo stesso modo qualunque sia il metodo didattico che si va a incontrare.

Le capacità di base di attenzione, di memoria, di lettura, di scrittura, di decodifica di un testo semplice (che è diversa dalla semplice lettura), di ragionamento logico (che è diverso dal semplice calcolo), più o meno sono le stesse che vengono attese adesso, come erano attese 30 anni fa, o anche 50, o anche di più, anche se la tipologia di testi e di prove in cui si valutano può essere cambiata.

Cioè, cerco di spiegarmi di più:
la società è cambiata, l'utenza è cambiata, le abitudini sociali delle famiglie sono cambiate, questo è indubbiamente vero.

Ma dove sta scritto che, siccome le abitudini sociali dell'utenza sono cambiate, allora questo cambiamento debba implicare per forza che questa utenza (con licenza parlando) sia automaticamente rincoglionita?

Perché di fatto è questa l'argomentazione che si nasconde dietro alla frase lapidaria del "dobbiamo prendere atto che l'utenza è cambiata": l'implicazione automatica è che sia cambiata IN PEGGIO, e che questo sia inevitabile.

E la mia domanda è appunto questa: in che modo un cambio di abitudini sociali dell'utenza (cambiamento che esiste davvero e che nessuno nega) dovrebbe aver portato inesorabilmente a un crollo spaventoso delle capacità individuali di base della maggioranza dei bambini e dei giovani? Non si sta parlando di adesione a un'ideologia piuttosto che a un'altra, o di mode superficiali ed effimere, ma proprio di (presunti) cambiamenti nella struttura neurologica delle persone, nel giro di una sola generazione, e solo per abitudini acquisite... il che, se mi si permette, sembra un'affermazione veramente pseudoscientifica e del tutto priva di PROVE a sostegno.

Se anche è cambiata la società, e questo nessuno lo nega, perché mai la maggioranza dei ragazzini dovrebbe avere capacità di lettura, di scrittura e di logica ATROFIZZATE rispetto a quelle dei loro genitori?

Quale sarebbe il fattore specifico di questo cambiamento sociale che ha portato a un disastro del genere?

Tutto sommato, grossi cambiamenti nelle abitudini sociali ci sono già stati più volte, nella nostra storia, ma non è sempre stato dato per scontato che portassero a un peggioramento delle capacità individuali, invece che a un miglioramento, o almeno a uno stato stazionario!

Anche tra la generazione nata negli anni venti (di cento anni fa) e quella nata negli anni sessanta, ci fu un abisso di cambiamenti sociali e di costume, ma non mi risulta che le capacità di apprendimento fossero peggiorate...

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Messaggio Da paniscus_2.1 Mer Gen 08, 2020 3:37 pm

"Non lo chiamerei mantra ma constatazione banale.
Che il cambiamento sociale debba implicare che l’utenza sia per forza rincoglionita non so motivarlo, rimane però il fatto che sia rincoglionita e ce lo stiamo dicendo. La disamina dell’eziologia del fenomeno la lascio a altri e non so fare confronti intergenerazionali secolari... Quello che mi riguarda è come rendere meno rincoglioniti i rincoglioniti. "----

Mi permetto di osservare che, a mio avviso, manca un passaggio logico importante.

Tu sembri sostenere che il MOTIVO per cui siano rincoglioniti non è rilevante, l'importante è solo trovare un modo per ovviare al problema. Quando invece io tenderei a pensare che l'individuazione de motivo sia una condizione importante per analizzare la situazione e scegliere quali mezzi usare per provare a risolvere il problema.

Parafrasando un esempio filosofico che originariamente non è mio, ma in cui mi ritrovo in pieno:

- supponiamo che a te, al cambio dell'ora, mentre stai tranquillamente transitando per il corridoio, capiti di incrociare un tuo collega (finora noto come persona equilibrata) che si allontana dal laboratorio di fisica con aria terrorizzata, passo barcollante, tremori martellanti, sudore fradicio e respiro da agonia, lanciando l'allarme che dentro al laboratorio stesso c'è uno scimpanzé in libertà (che sarà pure biologicamente simpatico, ma che ha una forza fisica cinque o sei volte superiore a quella di un umano, e che tende a innervosirsi pericolosamente quando si trova spiazzato);

- supponiamo pure che la cosa sia implausibile ma non completamente assurda (cioè, non ha parlato di un drago o di uno pterodattilo, ma di uno scimpanzé, animale che esiste, che è detenuto abitualmente in cattività anche in aree urbane, e che potrebbe anche essere scappato davvero da un circo o da un parco zoologico);

- bene, cosa si fa? Come si interviene?

- secondo il tuo ragionamento, non è importante sapere se lo scimpanzé c'è davvero o no, bisogna comunque trovare una strategia universale che vada bene in entrambi i casi? Cioè, il MOTIVO per cui questo signore ha detto che c'è uno scimpanzé, è irrilevante per la decisione di cosa fare dopo?

- nella mia ottica, no. Nella mia ottica, la prima cosa (a parte provare a mettere in sicurezza il malcapitato, sul momento) è accertarsi se lo scimpanzé c'è davvero o no, e accertarsi per quale motivo il collega lo ha detto.

- se lo scimpanzé c'è davvero, il collega lo ha detto perché l'ha visto davvero, e quindi il passo successivo è quello di chiamare la guardia forestale (o come si chiama adesso) o lo zoo... mentre se lo scimpanzé non c'è, il collega lo ha detto perché ha avuto le allucinazioni, e quindi il passo successivo è quello di chiamare il pronto soccorso psichiatrico. Le strategie da adottare NON sono uguali!

Tornando a noi: il fatto che "sia cambiata la società" ha portato veramente a una diminuzione strutturale irreversibile delle capacità mentali dei ragazzi? Oppure le capacità mentali di base sono rimaste le stesse, solo che non emergono perché si è stabilita una consuetudine in cui non va più di moda (o non conviene più) richiedere loro di esercitarle, e quindi non le esercitano?

Se fosse buona la prima, andrebbe DIMOSTRATO con evidenze oggettive, invece che limitarsi a prenderne atto, solo perché oggi si dice così. Dopo di che, eventualmente, si potrebbero studiare strategie mediche, non didattiche, per rianimare queste capacità perdute, oppure eventualmente arrendersi e prendere atto che non ci si può fare nulla.

Ma se invece fosse buona la seconda, ci sarebbe poco da inventarsi soluzioni innovative: basterebbe ricominciare a pretendere quell'impegno e quello sforzo che si pretendeva qualche decennio fa, senza troppi sconti, e le capacità riemergerebbero.

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Messaggio Da paniscus_2.1 Mer Gen 08, 2020 8:12 pm

Per Lucetta: scusa, ma dove sta scritto che io sostengo "graniticamente" il ritorno alla cosiddetta scuola del passato? Abbi pazienza, ma io non l'ho mai detto.

Io sto parlando di scuola attuale, e di possibili strategie da usare nella scuola attuale.

Si possono proporre millemila strategie diverse, di cui alcune clamorosamente innovative, alcune già viste in passato, e alcune che sono una via di mezzo.

Ma non mi pare corretto sostenere a priori che quelle considerate vecchie, per principio, non possono funzionare, per il solo fatto di essere vecchie. Esattamente come non è vero che tutte quelle nuove funzionino per il solo fatto di essere nuove.

Il problema non sta nella datazione anagrafica delle strategie o dei metodi didattici.

Il problema sta nel fatto generale che per gli ultimi 30 o 40 anni, l'unica strategia didattica considerata immaginabile è stata quella di abbassare sempre di più il livello delle richieste di impegno, di studio e di attenzione, del tutto indipendentemente da quale metodo didattico si usasse.

Qualunque fosse la formulazione tecnica di questa tendenza, o qualunque fosse il metodo didattico che ci stava dietro, la realtà dei fatti è che la scuola di qualsiasi ordine e grado si è adeguata a richiedere sempre meno e quindi ha ottenuto inevitabilmente ancora di meno di quello che richiedeva. E che questa diminuzione delle richieste è andata sempre a progredire nello stesso verso (cioè, a richiedere sempre meno, man mano che i risultati erano sempre più bassi).

Cioè, il punto che sto cercando di focalizzare è che, inevitabilmente, i risultati diventano sempre più scarsi quanto più le richieste diminuiscono, e che questo non c'entra assolutamente niente con la varietà di metodi di insegnamento.

Il metodo è una cosa, il livello dei contenuti didattici proposti è un'altra, e il livello delle richieste di impegno e di collaborazione da parte degli alunni è un'altra ancora.  

Il metodo può essere quello che si vuole, ma il momento della *valutazione di quanto sono state soddisfatte le RICHIESTE* dovrebbe essere, almeno parzialmente, indipendente dal metodo.

Se poi l'insegnante è davvero incapace e non riesce a comunicare realmente agli alunni quello che poi verrà loro richiesto, è un altro discorso... ma se la comunicazione sostanzialmente funziona, e se le richieste di studio e di profitto presentate agli studenti sono in linea con il livello della comunicazione svolta in classe, dove sta il problema?

Il punto è che, in generale, è inevitabile che se si richiede un certo livello, in media si ottiene di meno...

...ma PERCHE' questo dovrebbe rappresentare, in automatico, una spinta a chiedere sempre di meno, per ottenere risultati ancora più bassi?

Indipendentemente da quali siano i metodi di comunicazione dei contenuti (che si faccia la lezione frontale, la flipped classroom, l'autoapprendimento di gruppo, o il viaggio astrale fuori dal corpo per leggere le informazioni sull'archivio Akashico), è mai possibile provare a richiedere livelli più alti di conoscenze e competenze, invece di abbassarli sempre di più, e vedere come vengono fuori i risultati?


Ultima modifica di paniscus_2.1 il Mer Gen 08, 2020 8:29 pm - modificato 1 volta.

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Messaggio Da mattopris Mer Gen 08, 2020 8:22 pm

[quote="paniscus_2.1"]...ma PERCHE' questo dovrebbe rappresentare, in automatico, una spinta a chiedere sempre di meno, per ottenere risultati ancora più bassi?[/quote]

...perché è ormai diventato un tabù mettere i ragazzi di fronte ai loro "fallimenti" (termine esagerato!); e, tra le righe, in molti casi, onde evitare ciò, viene costantemente agitato lo spettro dell'"abbandono scolastico", che mal si concilia con la "scuola inclusiva". Quindi occorre portare forzatamente (quasi) tutti al sei e certificare competenze inesistenti, delegando ad altri (università, mondo del lavoro...) il compito di far sbattere i ragazzi sulla realtà.

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Messaggio Da macro Mer Gen 08, 2020 10:23 pm

[quote="herman il lattoniere"]Macro, tu criminalizzi parte degli insegnanti paragonandoli a degli istruttori di nuoto che buttano i bambini in acqua affinché imparino a nuotare da
soli. Non è questa la realtà, né il concetto che stavo cercando di esprimere. Una scuola non menefreghista ma esigente, come c'è in tutti i paesi del mondo, compresa la mitica
Finlandia (altra cultura, intrasportabile nella nostra realtà) cerca di fornire a tutti gli alunni gli strumenti di base per muoversi in maniera libera nella realtà. [/quote]

Un istruttore di nuoto che butta in acqua un allievo sarebbe davvero criminale. Anche un chirurgo che dicesse al paziente"si arrangi" sarebbe un criminale.
Non dobbiamo invece dimenticare che un insegnante quando sbaglia delle pratiche relazionali non uccide nessuno; è inadeguato, ma solo fino a quando qualcuno se ne accorge, perchè il tarlo non è così evidente come far annegare qualcuno. Tra l'altro, un insegnante, non è l'unico insegnante di un alunno. Un alunno arrivato in quinta superiore ha conosciuto decine e decine di insegnanti. Vai tu a imputare a qualcuno il mancato compimento di un ineccepibile percorso scolastico (con le medie che incolpano le primarie e le secondarie che incolpano tutte due, prima di essere bullizzate a loro volta dall'università).
Non è quindi una questione di criminalizzare o meno, per il semplice fatto che non ci si accorge proprio dell'inadeguatezza di una pratica didattica ( si possono addurre le giustificazioni più arzigogolate per farsi credibili) . Il brutto è piuttosto che non ce ne si accorge neanche davanti a evidenti fallimenti.
Fortunatamente non tutti gli alunni hanno bisogno di essere capiti nelle loro difficoltà. Molti si arrangiano e viaggiano per conto loro (ringrazio sempre quelle famiglie che sanno il fatto loro o che semplicemente sono state fortunate). Ma a quelli in difficoltà non posso dire arrangiatevi solo perchè molti altri sanno arrangiarsi. Non possiamo fare parti uguali tra diseguali. Li aiuti la scuola ad arrivare all'altezza giusta, rendendo credibile il percorso. Poi il tuffo dal trampolino potrà essere disastroso... (cosa che succede anche a fior di cervelloni)

[quote="herman il lattoniere"]La scuola di qualche decennio fa permetteva al figlio del lattoniere, studiando, di migliorare lo status sociale ereditato dai propri genitori, dandogli
quegli strumenti. Quella attuale sostiene al contrario che il figlio del lattoniere, o dell'immigrato, o comunque l'alunno in difficoltà, abbia il diritto di una didattica semplificata ed
obiettivi ridotti, spesso insufficienti a rendere il futuro cittadino libero e consapevole. Insomma la scuola attuale tende molto più a confermare lo status quo. [/quote]

Il figlio del lattoniere di qualche tempo fa le prendeva dal padre, dalla madre e dagli insegnanti, ma forse quello che riusciva davvero a migliorare la propria condizione sociale ne aveva comunque di suo (mentre c'era quello che le prendeva da tutti, anche dai compagni, e rimaneva lo scemo del villaggio).
La scuola del passato era selettiva. Oggi non è più così; culturalmente siamo divenuti tutti più disponibili, ma la scuola equivoca. La disponibilità non deve essere a promuovere tutti. Deve essere a mettere tutti (o molti di più) nella condizione di essere promossi.

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Messaggio Da macro Mer Gen 08, 2020 10:52 pm

[quote="paniscus_2.1"]
Tornando a noi: il fatto che "sia cambiata la società" ha portato veramente a una diminuzione strutturale irreversibile delle capacità mentali dei ragazzi? Oppure le capacità mentali di base sono rimaste le stesse, solo che non emergono perché si è stabilita una consuetudine in cui non va più di moda (o non conviene più) richiedere loro di esercitarle, e quindi non le esercitano?

Se fosse buona la prima, andrebbe DIMOSTRATO con evidenze oggettive, invece che limitarsi a prenderne atto, solo perché oggi si dice così. Dopo di che, eventualmente, si potrebbero studiare strategie mediche, non didattiche, per rianimare queste capacità perdute, oppure eventualmente arrendersi e prendere atto che non ci si può fare nulla.

Ma se invece fosse buona la seconda, ci sarebbe poco da inventarsi soluzioni innovative: basterebbe ricominciare  a pretendere quell'impegno e quello sforzo che si pretendeva qualche decennio fa, senza troppi sconti, e le capacità riemergerebbero. [/quote]


La società è cambiata, eccome! Non vi è dubbio che diminuendo l'impatto motivazionale, cambiano le prestazioni. I bambini di famiglia straniera sono di solito più sgamati e pratici rispetto ai nostri. Sanno allacciarsi le stringhe ben prima dei nostri. Sono più spigliati nel parlare (da rilevare nell'intervallo, non in classe). Sicuramente i migliori dei nostri li possono sopravanzare, ma subito dopo arrivano loro, che sono però in serie difficoltà scolastiche perchè magari la loro cultura della scuola non è proprio tenace. La fame aguzza l'ingegno e la nostra società si è sicuramente organizzata per diminuire la fame (ma perchè no?)
Ad una azione corrisponde una reazione.
Gli alunni di oggi non vivono più le situazioni del passato; non hanno più le stesse spinte.
La scuola non è tra l'altro molto più utile a loro perchè oggi le esperienze le fanno in tante altri modi che sono tra l'altro meglio certificati nell'ambiente in cui vivono (pensate che se ne fanno della certificazione delle competenze...).
La scuola rimane un dinosauro. E' perfino anacronistico che chieda certe prestazioni.

Bisognava cambiare la scuola prima che succedesse questo, ma chi era di sentinella? Forse gli insegnanti che controllavano al massimo al massimo di essere aggiornati nella propria disciplina?
O gli insegnanti che controllavo quanto l'erosione curricolare toglieva ore alle loro materie in questo ordinamento piuttosto che in quell'altro?
Non eravamo di sentinella!
E adesso può darsi che chiedere di più (quel di più che però ho cominciato a rifuggire anche da insegnante) può non trovare da attecchire perchè pure la ..struttura neuronale nel frattempo ha cominciato a mutare.
Sono per un chiedere di più , ma di tutt'altro tipo.

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Messaggio Da herman il lattoniere Ven Gen 10, 2020 3:02 pm

Non concordo minimamente con il tuo intervento, Macro, che praticamente assegna alla scuola un ruolo di chioccia o di agenzia di servizi sociali che, a mio avviso, non le compete proprio, come non compete al docente di trasformarsi in psicologo, assistente sociale, sociologo eccetera. Né apprezzo molto la retorica donmilaniana delle parti uguali tra diseguali: meglio dare un tozzo di pane sia al sazio che al digiuno che trascurare, come avviene, la maggioranza degli alunni per pratiche personalizzate improvvisate da insegnanti missionari. Se fossimo di fronte a un 10% o a un 20% della popolazione scolastica che viene respinta dalla scuola troppo selettiva come quella del passato (che non era così selettiva e terribile come la si dipinge, se ha permesso a intere generazioni di alfabetizzarsi e riempire licei e università) allora potremmo anche dire che sì, è vero, bisogna fare di più per quel 10-20%. Ma la realtà è che ci troviamo di fronte a una generazione, quella nata dopo il 2000, o forse dopo il 2005, che mostra evidenti segni di una minore vivacità cognitiva della precedente. E allora per carità, lavoriamo per recuperare gli alunni con disturbo specifico dell'apprendimento o con problematiche socioeconomiche riconosciute come BES, lavoriamo sui "casi" come si fa da sempre, ma va fatto un ragionamento sul perché il numero dei "casi" è così cresciuto, anche in fette di popolazione non toccate dal disagio sociale od economico o da problemi di apprendimento. Come altri penso che non sia solo colpa del mutamento del contesto familiare, mediatico, tecnologico, culturale e sociale, ma anche della scuola stessa che ha abbandonato alcune buone pratiche del passato per inseguire una falsa inclusione che, al contrario, lascia tutti dove sono partiti in quanto a condizioni socio-economiche familiari. La scuola come la vedi tu è quella scuola dove: non si può più insegnare il corsivo, perché qualcuno non ce la fa; non si può insistere sulle tabelline, perché tanto c'è la calcolatrice; non si può fare il dettato, o schemi alla lavagna, perché ci sono gli alunni con DSA; non si può interrogare, perché l'interrogazione stressa l'equilibrio psicofisico dell'alunno; non si possono fare i riassunti, perché il loro livello cognitivo non glielo permette (invece, stranamente, trent'anni fa ci riuscivano tutti); non si può chiedere la correttezza ortografica, perché conta il contenuto; non si può mettere un brutto voto, perché chissà che situazione ha dietro l'alunno e così via. In definitiva una scuola che, per mettere l'alunno al centro, e non i saperi, per evitargli sfide e frustrazioni, per metterlo sotto una teca di cristallo, gli prepara una pappa pronta di anno in anno più pronta, con conseguente progressiva, lenta, inesorabile atrofizzazione delle capacità didattiche e cognitive. Complice un certo taglio pedagogico sospinto dal ministero, a scuola si vanno affermando le modalità accudenti a scapito di quelle didattiche ed educative, e molti sedicenti esperti di educazione mettono in dubbio l'utilità di conoscere una tabellina, saper fare un calcolo, conoscere i fiumi del Trentino, aver studiato una poesia a memoria e così via. In pratica stiamo costruendo una generazione di ignoranti, facilmente manipolabili e non proprio sveglissimi. Di fronte a una realtà sociale, economica, lavorativa più complessa che nel passato stiamo via via privando una generazione degli strumenti conoscitivi ed operativi per far fronte a questa complessità.
Ma l'importante è che l'insegnante si senta in colpa per aver messo un'insufficienza, paragonandolo a un istruttore di nuoto nazista che butti a mare i bambini: è lui ad essere inadeguato, giammai l'alunno che non ha voglia di studiare.

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Messaggio Da paniscus_2.1 Ven Gen 10, 2020 5:50 pm

[quote="lucetta10"]Ma sarà poi vero che si trascura "la maggioranza degli alunni per pratiche personalizzate improvvisate da insegnanti missionari"?
A me pare che il più delle volte queste pratiche personalizzate riducano invece che aumentare lo sforzo e l'attenzione sull'alunno problematico, che viene in sostanza sempre "trattato" attraverso dispense e semplificazioni e che sarebbe molto più impegnativo portare a livelli "standard".
Non sarà, più che una spiegazione, una scusa per giustificare lo scadimento generale? [/quote]

Veramente a me capita da diversi anni di subire pressioni istituzionali (riguardanti corsi di aggiornamento, formazione, progetti, e simili) il cui tema dominante è quello di martellare sul concetto che "gli strumenti speciali che inizialmente sono stati concepiti per i DSA o per i casi problematici, in realtà, sono IDEALI per la didattica per tutti, e quindi dovrebbero essere estesi a tutti". Non sto parlando di singole situazioni di invasamento personale, sto parlando di strategie istituzionalizzate, e pesantemente caldeggiate da dirigenti, uffici ministeriali e agenzie formative.

Poi, è chiaro che finché questi corsi non sono obbligatori, me ne frego, non ci vado, e li ignoro... ma quando capita di "ereditare" una classe che per i due o tre anni precedenti è stata allevata così, da qualche collega che ci aveva creduto, i problemi dobbiamo smazzarceli comunque.

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Messaggio Da herman il lattoniere Ven Gen 10, 2020 6:17 pm

In ogni caso, per come è strutturata la scuola italiana, la didattica personalizzata è un bell'intento e poco più. O si è esigenti con tutti, o si semplifica con tutti. L'insegnante italiano può far usare gli strumenti compensativi e adottare misure dispensative, può differenziare le verifiche, ma non può fare 20/25 programmi diversi, uno per alunno, uno che non parla italiano, uno che ha un disturbo, uno che ha la grave situazione familiare, uno adhd, uno che è bravo a capire ma non sa esprimersi ecc. ecc.

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Messaggio Da paniscus_2.1 Ven Gen 10, 2020 6:31 pm

[quote="herman il lattoniere"]In ogni caso, per come è strutturata la scuola italiana, la didattica personalizzata è un bell'intento e poco più. [/quote]

E comunque, continuo a non vedere alcun motivo per cui la didattica personalizzata debba essere pompata come strategia generale diffusa.

Il senso dell'istruzione pubblica sarebbe proprio quello di trattare tutti allo stesso modo, riservando trattamenti personalizzati solo a quella piccola minoranza che ha effettivamente problemi seri.

NON di trattare ogni singolo alunno come se ci fosse solo lui e come se solo lui fosse al centro dell'universo.

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